giovedì 3 novembre 2011

PAPANDREOU E IL REFERENDUM : ESEMPIO DI DEMOCRAZIA O CALCOLO POLITICO ?





Diciamo subito che il solo fatto che finalmente ci sia chi, a sorpresa, darà la parola al popolo è cosa buona e giusta.

Che il primo ministro greco Papandreou, con il suo annuncio di indire il referendum, abbia fatto molto irritare l'establishment europeo e la Trojka, mi sembra positivo: questi organismi sovranazionali, infatti, hanno dovuto per un attimo gettare la loro maschera di istituzioni democratiche e schierarsi ringhiosi contro un referendum popolare. Segno evidente che gli interessi che tutelano sono incompatibili con quelli dei comuni cittadini, che vanno benissimo per essere dissanguati, ma di cui evidentemente temono molto la partecipazione attiva alla vita politica.

Da questo punto di vista, quindi, la loro irritazione con la conseguente minaccia di sospendere l'accordo di salvataggio potrebbe voler dire che qualche bastone tra le ruote si può metterglielo. E qui si potrebbe aprire una piccola parentesi per domandarsi che senso abbia salvare uno Stato che ha già ampiamente dimostratao di non poter pagare i propri debiti concedendogli ulteriori prestiti che, a maggior ragione, non potrà onorare. E' chiaro che il salvataggio riguarderà esclusivamente i creditori e che della Grecia fanno gola i beni pubblici: di chi ci abita, chi se ne frega.
Chiusa parentesi.

Sarebbe però anche interessante cercare di capire per quale motivo il premier Papandreou abbia preso una decisione che è sicuramente molto rischiosa.
I casi sono due: o ci troviamo di fronte all'ultimo baluardo democratico che si immola contro il potere delle élites finanziarie, oppure c'è sotto qualcosa che ancora non è chiaro.
Dato che si tratta di un politico di lungo corso, ministro degli esteri negli anni dal 1999 al 2004 - quando, coiè, la Grecia entrava nell'Euro - sarei cauto nel dipingerlo come un eroe dell'antieuropeismo.

Sicuramente bisogna dargli atto che la mossa del referendum è intelligente. Pur essendo estremamente rischiosa, perché al momento è quanto meno improbabile che i greci confermino volontariamente di volersi stringere da soli il cappio attorno al collo, in questo modo Papandreou ottiene subito dei risultati: da un lato, probabilmente blocca le manovre per far cadere il suo governo, dato che l'opposizione dovrebbe schierarsi apertamente contro la consultazione diretta del popolo.
In più, agendo in questo modo, dà chiaramente la possibilità ai cittadini di esprimersi, stemperando molto le tensioni sociali che stanno montando nel paese con manifestazioni di piazza sempre più violente. Con il referendum non ci sarebbe in teoria più bisogno di devastare tutto per farsi ascoltare.

C'è poi l'improvvisa decisione di sostituire l'intero vertice della forze armate greche.
Il britannico Telegraph ha riferito di una battuta che circolava negli ambienti finanziari, e forse anche nel governo britannico: "Sarebbe un bene ora, una giunta militare in Grecia, magari salita al potere con un colpo di stato, perché giunte militari non possono essere un membro della Unione europea".
Devo dire che, all'inizio, ho pensato anch'io che Papandreou avesse agito per sventare sul nascere un golpe militare.
In Grecia, però, la situazione attuale è diversa da quella del '67 e la maggioranza dei greci non crede che il motivo della sostituzione sia questo. Del resto, non sarebbe molto sensato prevenire un colpo di Stato che farebbe automaticamente uscire il paese dalla Comunità Europea per poi farsi buttare fuori comunque.
Forse, quindi, l'avvicendamento potrebbe servire al premier greco per garantirsi dei vertici militari più fedeli e controllabili.

Occorrerà capire se Papandreou agisce così per profondo spirito democratico o per freddo calcolo politico.

Nessun commento:

Posta un commento