mercoledì 16 gennaio 2013

POLIARCHIA



(non in tutti, però)

Poliarchia (dal greco poly molti e arkhe potere) è un termine introdotto per la prima volta da Robert Alan Dahl, oggi professore emerito della Yale University, per descrivere una forma di governo in cui il potere è in mano a quelli che James Madison definisce i benestanti, la classe "responsabile" di uomini.  Mentre il resto della popolazione è frammentata, distratta, autorizzata a partecipare alla vita pubblica dal potere. Hanno solo una piccola scelta sulla classe responsabile, sui benestanti.

Credo che questa definizione descriva meglio di altre il momento in cui stiamo vivendo. Non sono d'accordo con quanti sostengono che stiamo vivendo una fase storica simil-dittatoriale. Da noi si vota ancora e si vota spesso. D'altro canto, però, non penso che stiamo vivendo all'interno di un sistema democratico. La possibilità di rappresentanza - o per usare una brutta parola, di potere - è preclusa a una larga fetta di individui.

A questi ultimi, frammentati e distratti da problemi contingenti gravi e pressanti viene offerta una valvola di sfogo utilissima per non disvelare l'ipocrisia insita nel sistema: che nessun "responsabile" al potere oggi ha l'interesse a cedere quel potere che ha conquistato in maniera silenziosa, felpata, persino ammiccante.

Come scrivevo nel post precedente, l'incredibile rumore mediatico che si sta producendo e si produrrà nel prossimo mese di campagna elettorale risponderà perfettamente a questa funzione: illudere l'elettore che sia giunto un momento epocale, in cui col suo voto potrà fare la differenza e contribuire così al miglioramento della sua condizione sociale.

In realtà, senza un suo impegno diretto, fisico, alle dinamiche sociali, al progresso culturale, la sua funzione altro non sarà altro che quella di autorizzato a partecipare alla vita pubblica del potere per quell'infinitesimo istante in cui, con la matita in mano, delegherà ad un ottimato il compito di provvedere a lui: si potrebbe quasi dire che in quell'unico momento in cui il potere gli consentirà di esprimersi, egli, più che dare un voto, starà sostanzialmente esprimendo una supplica.

L'efficacia del passaggio da una democrazia ad una poliarchia, del resto, è insita proprio nell'accortezza di non cambiare la forma, limitandosi a mutare la sostanza. A nessuno è negata la possibilità di votare o di esprimere la propria opinione e la propria rabbia. Ma deve farlo nei recinti appositamente creati, come Internet o la cabina elettorale. Fuori da questi, sono letteralmente botte. Ed è utilissimo che lo faccia all'interno di quei recinti: lì deve essere libero di sfogarsi, indignarsi, usare le proprie energie, rimanendo al contempo perfettamente controllabile.

Il giorno che vedrò un tranviere sindaco di una città, o un disoccupato ministro della repubblica, anziché l'attuale schiera di politici di professione, avvocati, giudici in aspettativa, comici e finti imprenditori, tornerò a credere di vivere in una democrazia.

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